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    00 19/07/2008 18:50
    Pessimi giornalisti, ma ottimi pubblicitari

    I confini fra il mondo dell’informazione giornalistica e quello della promozione pubblicitaria hanno continuato negli ultimi decenni a farsi sempre più labili, consentendo alla pubblicità di fagocitare con sempre maggiore avidità larga parte degli spazi deputati a produrre informazione.

    Il lancio sul mercato del nuovo iPhone (leggasi cellulare) della Apple, magnificato da giorni nel corso dei telegiornali e sulle testate dei maggiori quotidiani, da parte di una folta schiera di giornalisti che si sono prodigati nel mettere in luce le mirabolanti qualità tecnologiche e la straordinaria filosofia che si cela all’interno di un apparecchio che a loro dire rivoluzionerà la vita degli italiani, ci ha permesso di constatare oggettivamente quanto in profondità gli spot pubblicitari abbiano ormai colonizzato ogni spazio informativo.

    I telegiornali fotocopia di Rai e Mediaset, fra il “pastone” politico ed il resoconto dei fatti di cronaca più eclatanti non arrivano a dedicare all’informazione più di una dozzina di minuti, mentre l’intero quarto d’ora che segue è in realtà un’infinita sequela di spot pubblicitari mascherati, neppure troppo bene, sotto forma di notizia. Senza la canonica dicitura “messaggio promozionale” ed ovviamente senza “fattura” si pubblicizza ogni cosa, dall’ultimo cd della popstar di successo al nuovo film del regista emergente, dalla tournée del cantante famoso al libro dello scrittore intellettualmente impegnato e politicamente corretto, dall’ultima vettura nata in casa Fiat alla nuova collezione dello stilista di grido, dalle località sciistiche a quelle balneari, dal “melafonino” che ti cambierà la vita allo scooter che riscopre le tradizioni.

    Il tutto prendendo a pretesto analisi sociologiche costruite alla bisogna, episodi di cronaca privi di qualsiasi interesse, riflessioni di costume assolutamente pretestuose, valenze culturali di fantasia e qualunque altro escamotage possa dare un’improbabile veste di notizia a quelli che in realtà sono meramente messaggi finalizzati a veicolare una campagna pubblicitaria.

    I quotidiani operano sulla stessa falsariga, potendo contare sulla compiacenza di un grande numero di giornalisti che si sono ormai specializzati nel produrre “articoli pubblicitari” estremamente documentati, dove lo spot viene spesso presentato sotto le mentite spoglie di uno scoop giornalistico sull’innovazione tecnologica, di una profonda analisi sociale, di un’attenta disamina dei mutamenti del costume. La notizia del varo della nuova nave di MSC crociere può così diventare una dettagliata presentazione delle mirabilie che i croceristi potranno trovare a bordo, l’analisi sociologica del rapporto che i giovani intrattengono con il mondo dei videogiochi uno spot per la nuova Playstation3, correlato dal racconto delle code chilometriche dei clienti in attesa davanti ai negozi in occasione della presentazione, una riflessione sul desiderio montante di tornare a consumare cibi naturali l’occasione per promuovere determinati ristoranti o cuochi, la disamina delle problematiche correlate ai mutamenti climatici può costituire il viatico per pubblicizzare questa o quella azienda automobilistica che si appresta a lanciare sul mercato un’auto ibrida e così via.

    Nel solco di una pubblicità “selvaggia” ormai affrancatasi da ogni regola e da ogni logica, ed oltretutto esentasse, è così nata e sta proliferando sempre più una nuova generazione costituita da pessimi giornalisti che si manifestano però come ottimi pubblicitari destinati ad un fulgido futuro, dal momento che l’informazione, quella vera, sta scomparendo a grande velocità ormai sommersa dai messaggi promozionali molto più produttivi in termini economici.

    Marco Cedolin

    www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?stor...
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    00 16/10/2008 00:17
    Le peregrinazioni di San Toro
    DI CARLO BERTANI

    Sinceramente, non pensavo che si potesse giungere così in basso: mi riferisco alla puntata di “Anno zero” del 10 Ottobre del 2008, Venerdì scorso. Ne parliamo non tanto per lanciare strali contro l’informazione di sistema – ce ne mancherebbe, lo sappiamo da tempo – ma per analizzare meglio i rapporti fra il media in declino, la TV, e quello in ascesa, il Web.
    Ricordiamo, a margine, che la raccolta pubblicitaria nel 2007 ha subito un’inversione di tendenza[1], ossia è diminuita sui media tradizionali (TV, giornali, ecc) ed è aumentata – ancora a livelli bassi, per l’esiguo costo della pubblicità sul Web, che fa “poco PIL” – per Internet. Questa nota, per capire che qualcosa “eppur si muove”, anche se si tende notoriamente a negarlo.
    Perché è aumentata?
    Da un lato – saremmo stolti a non riconoscerlo – per gli iperbolici costi della pubblicità tradizionale, a fronte dei risultati, ma non possiamo nascondere che, se Internet viene (modestamente, in valori assoluti) premiato per la raccolta pubblicitaria, è perché il mondo del Web comincia a proporre una modalità di circolazione dell’informazione – e dunque della cultura, del consenso e del dissenso, ecc – che inizia a far breccia.

    Questa situazione è per lo più indotta da una enorme mole di lavoro volontario che tanti scrittori dedicano al Web – privilegiando, spesso, la circolazione dell’informazione gratuita ai contratti editoriali – perché, in fin dei conti, reputano questa loro attività quasi come un dovere sociale.
    Non neghiamo che gli scrittori del Web (siti o blog, poco importa) non ne ricevano delle ricadute individuali, ma riflettiamo che – senza il loro apporto – il Web italiano si ridurrebbe a delle semplici traduzioni da siti esteri – che sono certamente importanti – le quali, però, finiscono per fornire un’informazione poco adatta ad essere interiorizzata (non “compresa”, attenzione!) da un pubblico latino. Conosciamo anche le ragioni della grande espansione dell’informazione di radice anglosassone: una delle più estese pratiche per evitare gli incrementi di tassazione – in quei paesi – è la donazione alle fondazioni. In altre parole, chi supera certi livelli di reddito, può decidere di devolvere una parte dei suoi guadagni ad una fondazione – dove lavorano, ben protetti – scrittori e giornalisti.

    Domandiamoci, date le premesse: possiamo attenderci da queste persone indipendenza di giudizio ed una limpida etica professionale? In alcuni casi sì, in altri…in ogni modo, ciò comporta l’inevitabile innalzamento delle capacità critiche del lettore, perché quelle analisi giungono da un mondo assai diverso dal nostro. E, i traduttori, sono anch’essi in gran parte dei volontari che compiono un lavoro encomiabile.
    L’informazione di sistema, invece, propone “pacchetti” informativi già preformati (i cosiddetti “format”, appunto) nei quali la certezza dei dati e la correttezza delle analisi viene fornita dai titoli di chi è invitato a partecipare alle “kermesse” televisive. Anche qui, però, possiamo rilevare un vulnus: quanti di questi “esperti” affidano parte delle loro fortune in campo accademico al successo che ricavano da queste “partecipazioni”? Ed è ovvio che non desiderino essere intralciati da concorrenti, ancor più se non santificati dal crisma dell’informazione di sistema.

    La vicenda di questa puntata di “Anno zero” assume maggiore importanza per l’argomento trattato – la crisi finanziaria internazionale – la quale rischia seriamente d’incidere, in futuro, non su marginali spostamenti di reddito, bensì di far precipitare sulle nostre spalle (ossia sull’economia reale, sui redditi, sul lavoro, sul welfare…) i frutti delle alchimie finanziarie di un sistema marcio fino al midollo. Era quindi importante – a nostro avviso – fornire la più ampia informazione sull’argomento – a “vasto spettro” – poiché è oramai chiaro a tutti che le istituzioni internazionali preposte stanno balbettando sull’argomento, ed anche i tanto conclamati “piani di salvataggio” non sembrano cancellare il dubbio che stiamo utilizzando strumenti spuntati per una crisi che va oltre le emergenze dei listini di Borsa.

    Se la politica annaspa, e l’informazione fatica a reggere oramai il confronto con il Web, non mi stupì la comunicazione – che ricevetti dalla mailing list di Arianna Editrice – che Eugenio Benetazzo (nella foto sotto) sarebbe stato fra gli ospiti della puntata.
    Finalmente, mi dissi! Vuoi vedere che, a fronte oramai della loro conclamata incapacità a spiegare agli italiani cosa sta succedendo, invitano uno che è in grado di farlo?
    Potevano essere Benetazzo o Saba, oppure Della Luna o altri ancora: poco importa – mi dissi – perché la cosa importante è che parli qualcuno che – finalmente! – adoperi un nuovo linguaggio, che dipinga un quadro partendo da presupposti radicalmente diversi. Ovviamente – come gli utenti del Web ben sanno – non avevo certo bisogno d’ascoltare Eugenio ad “Anno zero”, poiché basta cercarlo su Youtube per trovare tutto ciò che si desidera. L’importante, per me, era lo “sdoganamento” di Benetazzo, il riconoscere (almeno!) che esistono altre forme e nuovi modi per spiegare alla gente come sia possibile che, a forza di “creatività” in economia, si giunga a creare un apocalisse.
    Sicché, inforcai gli occhiali e mi sedetti di fronte al video, che frequento oramai di rado.

    Il primo stupore (la trasmissione era già iniziata) fu constatare che il “parterre” era occupato dai soliti “analisti” dell’informazione ufficiale: ogni tanto un collegamento esterno con altrettanti “esperti”. Dov’era Eugenio?
    Passano i minuti, le interruzioni pubblicitarie, e tutto tace.
    Finalmente, verso il termine della trasmissione – introdotto dalla “new entry” Margherita Granbassi – viene presentato un “analista e saggista” che “opera su Internet e fa conferenze”: poco è mancato che lo definissero un povero orfanello. Io non l’ho udito, ma non mi è parso che sia stato nemmeno presentato con il suo nome, né esso è comparso in sovrimpressione.
    Date le premesse, a questo punto Benettazzo doveva spiegare il “mondo” in circa un minuto: ci ha provato, poveraccio, ma era impossibile farlo in così breve tempo. Il commento di Santoro – caustico e di sufficienza – è stato: “Ci ha fatto il riassunto della trasmissione”.
    Vogliamo sottolineare che stessa sorte era precedentemente toccata ad una giovane economista (o studentessa d’economia) islamica, la quale avrebbe dovuto spiegare i fondamenti della finanza islamica. La ragazza – niente veli, buona pronuncia italiana, evidente competenza sull’argomento, ecc – ha tentato di farlo ma, a quel punto, sono intervenuti più volte i soliti tromboni del parterre per dire qui, ricordare là…ma, era chiedere troppo lasciare che spiegasse? Dopo, ciascuno avrebbe potuto fare i rilievi ed i commenti che desiderava.

    Cercando d’andare un po’ più a fondo nella questione, potremo suddividere le nostre impressioni in due estese categorie: chi ha da tempo messo una pietra sopra all’informazione di sistema – e ritiene che la cosa non lo riguardi più – e chi la segue, anche saltuariamente.
    Nel primo caso, ci troveremo di fronte a persone che, per lo più, si affidano al Web ed utilizzano perciò un media di tipo bi-direzionale, senz’altro più flessibile, ampio ed esaustivo della TV. Queste persone giudicheranno irrilevante ciò che è accaduto, ma sottovalutano che – se loro riescono a “nutrirsi” con fonti più esaurienti – per tanti così non è. Gli altri, siccome ogni media dovrebbe fornire il più ampio spettro d’informazione, vengono semplicemente scippati di un loro diritto, quello d’essere informati con una vasta gamma d’espressioni.
    Ovviamente, il frutto di questa pratica saranno opinioni create avendo a disposizione poco materiale e, spesso, inquinato da pareri spacciati per dogmi: vorrei sapere, a fronte della copiosa informazione che c’è sul Web, quanti sanno che la moneta non ha più relazione con l’oro. Se potessimo fare una rilevazione, sarebbe sicuramente una sorpresa: per questa ragione il problema tocca anche quelli che dell’informazione di sistema fanno a meno. Quando si va “alla conta” – oppure per la semplice formazione d’opinioni – lo scenario è completamente falsato.
    Il pericolo è grave soprattutto per i “format” che si definiscono “alternativi” di “opposizione” di “libera informazione” e via discorrendo: non si può certo applicare il paragone ai teatrini di Bruno Vespa, laddove il “format” – spiccatamente nazional-popolare – è costruito apposta per accalappiare coloro i quali credono nei miracoli di San Silvio e di San Romano, ma anche per escludere a priori tutti gli altri.
    Ho voluto fare una prova su me stesso, per verificare la mia “tenuta” a “Porta a porta”: i risultati sono stati deludenti, 7 minuti una sera, ben 11 un’altra (c’era però una tizia con un bel paio di cosce al vento, il che falsa la rilevazione), mentre non riesco a sopportare la vista di Mannheimer, come per le scene troppo violente di sangue ed orrore. Dovrebbero vietarlo ai minori. Tutto sommato, speravo di riuscire a far di meglio: fidavo sulla mia antica predisposizione per l’immersione in apnea, ma con “Porta a porta” nemmeno il grande Maiorca ce la potrebbe fare.

    Invece, il “format” modello Santoro è più pericoloso, perché accattiva con una sorta di presentazione “in jeans”, mentre – gratta gratta – salta fuori la medesima impostazione. Cambierà il colore delle sedie, la simpatia dei giornalisti (ed anche la bravura, pensiamo a Jacona) ma se non ci lasciano ascoltare cos’è la finanza islamica o perché Benettazzo aveva previsto con largo anticipo quel che sta accadendo, di tutto quel carrozzone non sappiamo che farcene.
    Viene allora da chiedersi quale sia il gioco di Santoro.
    Il “personaggio” Santoro fa parte di un sistema politico incentrato su un unico assioma “Berlusconi sì, Berlusconi no”. Non ce la sentiamo nemmeno di concedere un “Berlusconi forse”: insomma, il solito giochetto del berlusconismo/anti-berlusconismo. Fu premiato – a fronte di uno squallido intervento di censura da parte di Berlusconi, una sorta di diktat in pieno stile staliniano, quando fu estromesso dalla RAI – con un posto da parlamentare europeo, non dimentichiamolo. Si tratta quindi, pur riconoscendo le sue ottime qualità professionali, di un giornalista organico al sistema.

    Vorrei ricordare che fui fra i primi a denunciare questo limite nella partecipazione di bravi giornalisti – Travaglio ne è un esempio, nessuno lo mette in dubbio – ai programmi televisivi. Hanno forse il pregio di farli conoscere al grande pubblico ma, se questa “presentazione” avviene con tanti crismi, c’è da insospettirsi.
    Lo denunciai ad una delle prime puntate di “Anno zero”: come si può ridurre la vicenda afgana con una semplice “Letterina al mullah Omar”?
    Comprendiamo che la satira possa aprire qualche breccia, che la parola tagliente ma calata con garbo possa valicare le inevitabili censure del video ma, in fin dei conti, qual è il discrimine?
    Che si riesca, mediante la satira od altro, a non concedere nessuna ritrattazione, anche marginale, rispetto alle argomentazioni che si desiderano esporre. Possono oggi, gli italiani, sentirsi soddisfatti di simili spiegazioni?
    Perché – liberi o prigionieri siano il mullah Omar o Ayman al Zavahiri, morto o vivo Saddam, altrettanto Osama bin Laden – la “guerra infinita” in Oriente continua a mietere vittime ed a non mostrare nessuna soluzione?

    Sarà, forse, perché le motivazioni di quella guerra sono di natura geopolitica, e coinvolgono dunque le strategie delle grandi potenze e poco o nulla quelle di questi minuscoli attori?
    E se, a fronte di questa constatazione – della quale tutti dovrebbero riconoscere l’evidenza – si usa la satira non per mostrare le vere ragioni di quelle guerre, bensì si opera una “reductio ad minimum” – trattando questi scenari come se fossero l’avanspettacolo del “Bagaglino”, che finisce per fuorviare completamente la natura stessa del messaggio – si compie il proprio dovere d’informare? Qualcuno ribatte: le capacità di comprensione e d’elaborazione del vasto pubblico non giungono a queste “vette”. Premesso che non ci credo, possiamo rispondere: continuiamo, allora, a raccontare favole e metafore?
    Ancora ricordo la “fulgida” spiegazione di un giornalista italiano per la guerra in Iraq del 1991: l’Iraq aveva scippato il Kuwait come uno zingarello ruba una mela da un banco del mercato. Non è forse giusto farsela restituire?
    Osserviamo, oggi, il credere a queste veloci “semplificazioni” dove ci ha condotti: la metafora è utile, ma – suvvia – chi scrive dovrebbe conoscerne i limiti. Ovviamente, chi scrive con onestà intellettuale.

    Il “format” televisivo, quindi, ha una duplice funzione: carpire dal Web un mare d’informazione a costo zero (lo fanno, lo fanno…) per poi riappropriarsi del primato “massacrando” in diretta gli antagonisti. Chi ricorda la trasmissione (se ben ricordo, Matrix) nella quale furono invitati Blondet e Chiesa per parlare dei “misteri” dell11 Settembre, rammenterà bene quale fu il “canovaccio” della serata. Mentre sul Web il dibattito andava avanti oramai da mesi – e, qui, ci sarebbe da approfondire anche la diversa scansione temporale dei due media – i due “malcapitati” furono precipitati in uno studio televisivo come due gladiatori al Colosseo.
    Bastarono due “scartini” della politica italiana per rendere all’ascoltatore un semplice messaggio: osservate quanto siamo democratici…invitiamo anche questi due sognatori irresponsabili e li ascoltiamo, siamo noi stessi a proporveli! Come siamo magnanimi! E li facciamo a pezzi senza che nemmeno ve ne rendiate conto.
    Identica sorte sarebbe capitata al sottoscritto, se avesse accettato di partecipare in diretta ad una trasmissione del canale satellitare RAI sul traffico d’organi: essendo stato il primo scrittore italiano che ha trattato l’argomento in un libro, giunsero a me con una semplice ricerca su Google.
    A quel punto, in studio, era pronto lo Stato Maggiore della Sanità italiana per farmi a pezzi! Accettai soltanto di fare un breve intervento in audio, poi li lasciai ai loro soliloqui.
    Non conta quanto tu sia bravo, corretto nella verifica delle fonti, attento alle “bufale”: per l’informazione di sistema, esiste il solo parametro della fedeltà al sistema stesso.

    Perciò…lasciate ogni speranza voi ch’entrate…verrebbe da dire perché, a fronte di qualche rara buona pagina di giornalismo, il resto è soltanto un teatrino che entra nelle nostre case per sostenere il sistema.
    Fatto più grave, quando si è nel bel mezzo di una crisi finanziaria che mette in discussione le stesse basi dell’economia – di questa economia, dell’unica che ci presentano come scienza economia esistente – ridurla ad un mero teatrino del déjà vu, triturando citazioni e sentenze per riempire il tempo, senza concedere ad altri la possibilità di spiegare e d’esplorare nuovi scenari.
    Di certo – cambiano i tempi e le modalità espressive – la RAI pare aver trovato, per il futuro, un buon rimpiazzo per Bruno Vespa:
    come sono lontani i tempi di Samarcanda, quando la gente poteva ancora parlare in televisione!
    Con buona pace di chi ancora prega San Toro.

    Carlo Bertani
    Fonte: carlobertani.blogspot.com
    Link: carlobertani.blogspot.com/2008/10/le-peregrinazioni-di-san-t...
    14.10.08

    [1] Dati Nielsen comunicati dall’ANSA il 28 aprile 2007.
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    00 12/11/2008 00:03
    La verità Proibita
    di Marco Cedolin

    Ci sono note di colore che meglio di qualsiasi altro accadimento riescono a fotografare perfettamente lo stato di profondo degrado nel quale ormai giacciono sia l’informazione che la politica all’interno di questo disgraziato Paese. Note di colore che sembrerebbero rubate ai cartoni dei Simpson o a qualche commedia del filone demenziale, ed invece appartengono drammaticamente al lemmario dei nostri TG e dei mestieranti della politica che proprio davanti alle telecamere giorno dopo giorno costruiscono la propria immagine, cambiando opinione alla bisogna, così come fanno con gli abiti le modelle durante un defilè.

    Ormai da un paio d’anni, senza che nessun politico o giornalista abbia avuto a dolersene più di tanto, sul Monte Musinè, praticamente all’ingresso della Valle di Susa, campeggia un’enorme scritta “NO TAV” non dipinta con la vernice, bensì realizzata pazientemente con teli e reti da cantiere da un nutrito gruppo di valsusini.

    Qualche giorno fa un ugualmente nutrito gruppo di NO TAV si è recato sul Musinè alla luce del sole e, dopo che le guardie forestali avevano proceduto all’identificazione di ogni singolo partecipante, ha provveduto a risistemare la scritta originaria danneggiata dalle intemperie, ...

    ... premurandosi, in pieno accordo con la sensibilità di tutti gli altri attivisti valsusini, di affiancare ad essa un’altrettanto eloquente scritta “NO MAFIA”, chiudendo in questo modo il cerchio che vede le grandi opere come una delle principali fonti di arricchimento delle organizzazioni mafiose, come tanta letteratura e altrettanti processi stanno a dimostrare.

    Per una strana ironia del destino, là dove la primigenia scritta NO TAV (senza dubbio espressione di un sentimento partigiano) aveva suscitato al più una stizzita indifferenza, la neonata scritta NO MAFIA (che dovrebbe rappresentare il sentimento di qualsiasi italiano) ha invece scatenato una vera e propria levata di scudi della quale si sono fatti interpreti tanto gli organi d’informazione quanto i politici locali più in vista.

    Perfino il TG3 regionale si è sentito in dovere di dedicare un servizio carico di livore al “drammatico” avvenimento, mentre il quotidiano la Repubblica ha approfondito la questione all’interno di un articolo.

    I giornalisti della RAI si sono profusi in uno dei loro migliori campionari di cattiva informazione, travisando completamente la realtà e fornendo informazioni fasulle, arrivando ad affermare che la scritta sarebbe stata tracciata con la vernice (mentre si tratta di teli) da mani ignote (mentre l’hanno composta alla luce del sole persone che hanno fornito le proprie generalità) per collegare l’alta velocità Torino – Lione a chissà quale riferimento mafioso, riferimento che in Italia ormai sfugge solamente a chi per mestiere fa il belatore nei TG nazionali.

    Il vicegruppo di Forza Italia alla camera Osvaldo Napoli, ex sindaco di Giaveno ed ex avversario del TAV quando nel 1997 lo definiva “una follia senza limiti”, evidentemente contrariato oltremisura dal fatto che qualcuno abbia avuto l’ardimento di osteggiare la mafia, ha letteralmente perso le staffe arrivando a definire sulle pagine di Repubblica i NO TAV come “gli estremisti della Val di Susa, personaggi disgustosi, vigliacchi e incapaci di razionalità” che andranno rintracciati (hanno già lasciato i loro nomi) e puniti a norma di legge (quale legge, quella che dovrebbe tutelare la mafia?) senza esitazione.

    Il presidente della Comunità montana bassa Valle di Susa Antonio Ferrentino, ex DS, ex NO TAV (diventato famoso in Italia grazie agli innumerevoli passaggi in TV all’ombra della bandiera con il treno crociato) ha dichiarato al TG3 che si tratterebbe di una provocazione che non può essere attribuita alla Valle, da rigettare come gli altri estremismi, lasciando intuire che nel territorio da lui amministrato opporsi alla mafia è cosa disdicevole, provocatoria ed estremistica.

    Il deputato del PD Giorgio Merlo di Pinerolo, approdato alla corte di Veltroni dopo lunga esperienza fra scudi crociati e margherite, sempre sulle pagine di Repubblica non ha esitato a manifestarsi sodale con le parole di Osvaldo Napoli, dimostrando di fatto che in tema di mafia e grandi opere, PD e PDL mantengono la stessa visione d’insieme.

    La morale che si evince da questa vicenda surreale è una sola e si può sintetizzare in un consiglio a tutti i movimenti che in Italia si battono contro le grandi opere e le nocività.

    Gridate e scrivete pure NO TAV, NO Mose, NO inceneritore, NO Ponte, NO Centrale, NO rigassificatore, NO basi di guerra, ma non azzardatevi ad aggiungere NO MAFIA perché in quel caso politici e giornalisti perderanno davvero la testa e non esiteranno ad additarvi come estremisti pericolosi da rinchiudere.

    Marco Cedolin

    ilcorrosivo.blogspot.com/
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    00 18/01/2009 21:01
    Ai tempi di Gaza non sapevamo di vivere ai tempi di Gaza
    DI GIULIETTO CHIESA
    Megachip

    Scrive Gad Lerner su Repubblica: "ecco perchè non possiamo tollerare come un dettaglio marginale (...) il rituale della preghiera islamica posto a sigillo delle manifestazioni indette con finalità di protesta politica".
    Lui "non può tollerare". Se avessero bruciato bandiere, anche, non avrebbe tollerato. Lui non tollera la parola "martiri".

    Pregano. Cos'altro potrebbero fare? E dovrebbero anche nascondersi, per farlo? Pregano perchè l'ingiustizia e la violenza cui sono soggetti non ha redenzione in questo nostro mondo dove la giustizia e la verità sono state cancellate. Pregano e dovremmo ringraziare il nostro dio finchè si limiteranno a pregare. Pregano perchè non c'è redenzione per le loro sofferenze. Pregano perchè non c'è via d'uscita quando il più forte t'impone la sua bugia, e se ti ribelli ti uccide. E non ti lascia nemmeno la possibilità di gridare il tuo dolore perchè, se ti lamenti, sei antisemita. E dunque non ti resta che invocare il tuo dio. Appena prima di meditare la vendetta.
    Non gli resta che Allah.


    A questo li abbiamo ridotti, Lerner, e tu ne porti una parte di responsabilità, per le cose che scrivi.
    Ieri, alla manifestazione, c'era un giovane che gridava soltanto una cosa: "Palestina, terra mia", e piangeva. Non l'ha intervistato nessuno, ma il suo pianto mi è rimasto nelle orecchie. Non c'è tribunale, in occidente, che gliela ridarà, la sua Palestina.

    La seconda riflessione la prendo da Alessandro Robecchi, sul Manifesto di oggi. Insieme alla sua tristezza. Ricorda, a chi non se ne fosse accorto, le parole di Lucia Annunziata ad Anno Zero: "ma qui siamo italiani e dobbiamo orientare il pensiero degli italiani".
    Voce dal sen fuggita. Vale di più questa ammissione che tutto il resto dello spettacolo. Questo è il giornalismo italiano e la Annunziata, che vi ha fatto abbondante carriera (ed è certo che continuerà a farcela), ne è la bandiera.
    Informare? Che c'entra?, avrebbe detto Goebbels. Bisogna orientarle le masse.
    Ho letto di recente una citazione di Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia: "Il giornalista incapace per vigliaccheria, o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare e le sofferenze e le sopraffazioni che non è stato capace di combattere".
    Viene in mente un aforisma di Hans Magnum Enzensberger: "Ai tempi del fascismo non sapevamo di vivere ai tempi del fascismo".
    Gaza è il nostro tempo, e noi non siamo capaci di dircelo.

    Giulietto Chiesa
    Fonte: www.megachip.info
    Link: www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&ar...
    19.01.2009
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    00 19/06/2009 00:20
    10 domande a "La Repubblica"

    E’ giusto e sacrosanto che un quotidiano di tiratura nazionale abbia il diritto di chiedere conto delle loro azioni ai propri governanti. I governanti infatti hanno una responsabilità precisa nei confronti degli elettori – quella di fare per loro conto le migliori scelte possibili - e devono poter essere chiamati a risponderne in qualunque momento.

    Altresì è giusto e sacrosanto che i cittadini abbiano diritto di chiedere conto delle loro azioni ai quotidiani di tiratura nazionale. I quotidiani di tiratura nazionale infatti hanno una responsabilità precisa nei confronti dei cittadini – quella di informarli correttamente su quello che accade nel mondo - e devono poter essere chiamati a risponderne in qualunque momento.

    Rivolgiamo quindi 10 domande al quotidiano La Repubblica.

    Nessuno oggi può negare l’importanza che hanno avuto, sulle sorti di intere nazioni - compresa la nostra - i fatti dell’11 settembre. In luce di questo fatto vorremmo sapere:

    1 – Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come mai nessun nome arabo comparisse sulle liste passeggeri diffuse inizialmente dalle agenzie? LINK

    2 – Come è noto, due dei 4 aerei dirottati hanno compiuto manovre altamente spettacolari, ritenute estremamente difficili, se non impossibili del tutto, da piloti professionisti con esperienza trentennale. Perchè nessun giornalista di Repubblica ha sollevato obiezioni, quando le autorità americane ci hanno raccontato che gli aerei sono stati dirottati da 4 persone che non avevano mai guidato prima un jet nella loro vita? LINK 1, LINK 2

    3 – Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come possa un edificio di qualunque tipo crollare su se stesso, …

    … partendo dalle zone alte, ad una velocità simile a quella di un corpo in caduta libera? (Esistono precise leggi della fisica, che impongono un accumulo progressivo di ritardo – rispetto alla caduta libera – man mano che ciascun piano si abbatte su quello inferiore). LINK

    4 – Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come possano 5.000 tonnellate di cemento polverizzarsi in nuvole di polvere finissima, con particelle dello spessore di pochi micron al massimo, grazie alla sola forza di gravità? (La forza cinetica sviluppata dalla semplice caduta non è assolutamente sufficiente a compiere quel tipo di lavoro, tant’è vero che quando un edificio crolla da solo rimane spezzato in grossi blocchi ben riconoscibili). LINK

    5 – Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato che cosa abbia generato le pozze di metallo fuso trovate alla base delle tre torri crollate, che registravano temperature di circa 800° centigradi a ben sei settimane dai crolli?

    6 – Perchè i giornalisti di Repubblica non hanno sollevato obiezioni, di fronte alla notizia che il WTC7 sarebbe crollato per un cedimento strutturale, quando esistono filmati, diffusi dalla CNN, in cui si sentono chiaramente i poliziotti dire “Allontanatevi, perchè l’edificio sta per saltare in aria”? “Move it back, the building is about to blow up” LINK (al minuto 4:40 del filmato).

    7 - Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come sia stato possibile identificare i resti di tutti i passeggeri del volo AA77, quando l’aereo su cui viaggiavano si è letteralmente disintegrato nell’impatto contro il Pentagono?

    8 - Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come abbia fatto un Boeing da 100 tonnellate (UA 93) a scomparire in una buca di qualche metro al massimo?

    9 - Visto che il volo UA93 è caduto a terra integro e non è esploso in volo, perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come sia stato possibile ritrovarne alcuni frammenti e rottami a 14 chilometri di distanza?

    10 - Perchè nessun giornalista di Repubblica si è domandato come sia stato possibile identificare i resti di tutti i passeggeri di UA93, quando l’aereo su cui viaggiavano si è letteralmente disintegrato al suolo?

    In sintesi, perchè La Repubblica ci ha raccontato tutte queste cose, dandole per vere, senza nemmeno preoccuparsi di verificarle? Da questa "verità", avallata da Repubblica con estrema disinvoltura, sono poi dipese guerre nelle quali è stato ucciso oltre un milione di civili.

    Massimo Mazzucco
    Fonte: www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?stor...